In quel tempo in piazzale Archinto, all’angolo con via Angelo Della Pergola c’era el sciur Borgognoni, “el sciustré” (lo scrivo come si pronuncia, andrebbe scritto diversamente). La “sciustra” era il magazzino, il deposito che trattava carbone, legna e, talvolta, materiali da costruzione. “El sciustré era, quindi, il carbonaio”.
Le case dell’Isola (quelle che avevano detto no alle bombe anglo-americane ed erano rimaste in piedi) non erano riscaldate centralmente. Ogni appartamento aveva una o più stufe, chi a legna e chi a carbone (più tardi a cherosene).
Il magazzino del carbonaio era una cosa impressionante: enorme, coi soffitti altissimi, pieno di montagne di carbone alte sette o otto metri e pile di legna da bruciare… un luogo nero come l’antro di Babayaga e popolato da persone nere di carbone dalla testa ai piedi da mattina a sera, come i minatori del Galles di certi films britannici.
Me li ricordo quando, a inizio Ottobre, si comperava il carbone per l’inverno (una decina di quintali di antracite). Arrivava il camion da cui scendevano questi operai neri come la notte, con in testa un sacco di iuta tagliato lungo un bordo, a mo’ di cappuccio, per ammortizzare i pesi che portavano (sacchi da 50 chili, roba seria, mica venivano a pettinare le bambole) e scaricavano nella nostra cantina (altro luogo che mi terrorizzava, ma io non ero un cacasotto… era proprio terribile, un posto da fantasmi) attraverso la finestrucola a livello del terreno.
Poi, col passare degli anni, “el sciustré” Borgognoni si è riciclato con le taniche di cherosene… le stufe erano cambiate, in attesa delle ristrutturazioni degli anni ’70 che avrebbero centralizzato il riscaldamento.
Forse il cherosene era meno romantico del carbone e della legna, magari puzzava un po’ (di cherosene, appunto) ma vuoi mettere com’era più comodo ?
…e poi non dovevo più scendere in quella cantina che mi terrotrizzava per prendere due secchi di carbone (lavoro per il quale percepivo regolare “paghetta”).
di Piero Amerigo Vaccani
Bei ricordi