Nella Milano di allora (mi riferisco agli anni ’30-’60 ) l’Isola influenzava il DNA dei suoi abitanti, come i suoi abitanti la influenzavano con tutti i loro DNA. Era uno scambio. Forse non riesco a spiegare bene il mio pensiero ma quello che intendo dire è che quella comunità umana, che viveva in un certo senso più isolata rispetto al resto della città, aveva tratti molto simili dovuti ad una vita piuttosto simile: operai ed operaie, facchini e piccoli artigiani. Ognuno influenzava l’altro ed a sua volta ne era influenzato.
E la vita di tutti aveva una limitatissima “privaci”. Non c’era la TV che poi avrebbe raccolto ogni sera le famiglie davanti a lei. Nei mesi estivi, nelle case di ringhiera che erano la maggior parte delle abitazioni, la vita si svolgeva praticamente in comune. Acqua e cesso in particolare. Amori, odi, discussioni, canti e liti, tutto nasceva in quegli spazi limitati. L’evasione era il cinema, quei pochi cinema di zona, che permetteva di provare emozioni non comuni e di evadere con lo spirito da quel mondo ristretto ed affollato.
Nei mesi invernali già la disponibilità di pochi metri quadri riscaldati era una conquista. Le stufette a carbone e legna, se alimentate a dovere, divoravano buona parte della paga e quindi andavano usate con parsimonia. Al mattino la sveglia, quasi per tutti, era alle sette, ancora buio al mattino d’inverno, ci si coricava dopo le chiacchiere di famiglia attorno al tavolo, dopo la parca cena, dopo la partitina a carte o, per i più fortunati che disponevano di una radio, dopo l’ascolto di qualsiasi cosa che uscisse da quella scatola. Del resto si era rientrati la sera, già con il buio, stanchi morti dopo una giornata in officina a massacrarsi al tornio o ad altre macchine o in stazione a muovere pesi.
Questa era la vita di allora. Ed ecco quindi l’adattamento del DNA di ciascuno ed ecco la generalità del DNA della zona. Tecnicamente sto dicendo una bestemmia, ma non so spiegare meglio il mio pensiero. Questa palude generava però delle eccezioni, di diverso genere naturalmente. Ne cito solo tre ma ve ne sono state altre di minore rilevanza. Una è sicuramente la figura di Ezio Barbieri, un bandito certo, che ne ha fatte di tutti i colori ma mai ha fatto versare del sangue ed è ancora ricordato con simpatia, quasi. L’altro è il Giovanni Borghi, ora non più ricordato, che era in pochi anni divenuto un industriale potente, secondo, in Italia, solo agli Agnelli, ma molto più popolare. Infine, buon ultimo, il Silvio Berlusconi che, pensatela come vi pare, non è passato certo inosservato nel mondo intero.
Io, nato all’Isola, sono rimasto un umile granello di sabbia ma sento che nel mio DNA, oltre a quanto naturalmente mi hanno trasferito papà e mamma, vi è una grossa componente del DNA dell’Isola. Chi me l’ha trasferito? Quelli che ho citato e le altre centinaia di persone, bambini adulti e vecchi, con le quali mi sono trovato a che fare durante i miei giorni dell’Isola. Chi mi legge, se riflette, noterà in se, credo, quello che sento io.
di Gianni Tedeschi