Immagina che un giorno ti vengano a prendere a casa, ti facciano salire sul vagone di un treno merci insieme ad un’ottantina di persone dicendoti solo che il viaggio durerà una settimana, ma senza nessun cenno alla destinazione finale. E’ successo a 7000 persone, a Milano, tra il 1943 e il 1945, e solo 700 hanno avuto il biglietto di ritorno.
Sotto, nella pancia più nascosta della Stazione Centrale, urla e percosse di soldati in divise nazista e fascista, latrati di cani, l’odore della paura e della morte che si inizia ad avvertire. Sopra il rumore e i fischi dei treni in partenza e in arrivo, il via vai dei passeggeri, la vita normale di una stazione in tempo di occupazione.
Poi vagone dopo vagone il treno viene portato in alto, sui binari, agganciato ad una locomotiva e fatto partire nell’ignoranza generale: destinazione Auschwitz–Birkenau o Mauthausen. A bordo, pigiati per giorni uno contro l’altro come bestiame, con l’aria che filtra dalle feritoie in alto, pochissimo cibo e un solo secchio per le necessità fisiologiche di tutti, i “viaggiatori” presagiscono che qualcosa di ancor più terribile accadrà loro all’arrivo. Fuori, nelle stazioni in cui il treno si ferma, silenzio e indifferenza ovunque al loro passaggio.
E’ successo 15 volte a Milano, e per più di 6000 persone è stato l’ultimo viaggio. E poiché l’immaginazione spesso non arriva a concepire certe soglie di orrore, può aiutare visitare il Memoriale della Shoah, aperto da pochissimo alla Stazione Centrale di Milano, come abbiamo fatto noi domenica scorsa insieme all’ANPI Almo Colombo Isola.
Un luogo che fino a pochi anni fa era non era altro che il locale di smistamento della posta, e che solo la testimonianza di Liliana Segre negli anni Novanta ha permesso di ricostruire per quello che era diventato: l’anticamera della morte per migliaia di italiani. Qui un treno merci dell’epoca aspetta ancora sotto al Binario 21, in attesa questa volta di visitatori consapevoli. Ma in questo luogo, dove tutto è ripensato per riprodurre quell’orrore, la distanza tra vittime e osservatori si riduce davvero al minimo.
Nella webserie pubblicata lo scorso gennaio dal Corriere della Sera (Ferruccio de Bortoli è il presidente della Fondazione che gestisce il Memoriale), il racconto di Liliana che ha vissuto bambina questa tragica esperienza, una dei 700 “fortunati” che ne è uscita illesa fisicamente ma certamente non nell’anima.
Il Memoriale è aperto al pubblico ogni ultima domenica del mese su prenotazione, e due giorni a settimana per le scuole. A molti non piace che non sia il Comune di Milano a gestirlo ma una Fondazione privata, per quanto non a scopo di lucro, e che il culto della memoria richieda il pagamento di un biglietto. Ma in tempi grami per la cultura e le casse del Comune forse questo era inevitabile. Domani chissà.