C’erano una volta le lavandaie. C’era una volta il lavatoio pubblico. Le macchine lavatrici erano primitive e solo per benestanti. Il ceto popolare se li lavava per conto suo. Chi poteva li affidava alle lavandaie professioniste: persone dedite ad una vita infame, con le mani distrutte dall’acqua troppo sovente gelida e dagli ignobili detersivi di 60 anni fa (soda, lisciva e simili – leggo in rete che la lisciva o liscivia è considerata “ecofriendly”… vorrei chiedere alle mani delle lavandaie di allora cosa ne pensassero).
Davanti a casa mia c’era il lavatoio pubblico, esattamente dove ora sorge la chiesa metodista di via Porro Lambertenghi. Spesso già al pomeriggio alcune lavandaie erano in stato etilico a rischio: il cattivo vino e la cattiva grappa serviva loro a sopportare la vita infame che facevano, le mani deformate e l’assenza di qualsiasi futuro: solo panni e panni e panni da lavare.
Una di queste signore mi è rimasta impressa (il termine signora non è ironico… serve ad indicare il rispetto che ne ho). Una signora devastata dalla vita , portava anche sul volto, nei tratti somatici, i segni di un genoma contorto, sofferente, spurio. Questa donna aveva un marito e tre figli. Il marito lo vedevi alle otto del mattino già barcollante causa cattivo barbera, perennemente ubriaco, non gli ho mai sentito pronunciare una frase di senso compiuto.
I figli, due ragazzi ed una ragazza… quelli erano il fiore all’occhiello di quella signora: anche loro, nei tratti somatici, portavano le ingiurie di un genoma malato incrociato con altri genoma malati. Però tre ragazzi giusti, sfortunati ma retti, senza cultura ma con una dignità immensa, tre ragazzi senza un lavoro importante (non avrebbero saputo accedervi) ma tutti con un lavoro dignitoso, un LAVORO vero.
Penso che nessuno dei tre abbia mai assaggiato un goccio di alcool nelle sua vita: erano al corrente del rischio che avrebbero corso. Tre ragazzi con un rispetto quasi religioso della loro madre, avevano qualche anno più di me, non so più nulla di loro, se sono vivi oppure no… ma mi piacerebbe saperlo. L’Isola non era fatta solo da ligéra e da operai, da bottegai ed artigiani: era fatta anche da queste persone, le ultime della scala sociale ma non ultime in fatto di dignità.
di Piero Amerigo Vaccani